Ripropongo l'editoriale del n° 1 de "La Taverna di Auerbach".
Chissà che non si riesca a riaprire un dibattito !
Quando nel 1530 Heinrich
Stromer, per gli amici Auerbach, costruiva a Lipsia la sua famosa taverna non
immaginava che un giorno sarebbe capitato, proprio lì, il notissimo mago Johann
Faust, di cui tanto si parlava.
Da secoli era sulla bocca
della gente, ma nessuno lo aveva mai riconosciuto. Ad alcuni piaceva contar
fole su di lui e i più amavano ascoltarle, tanto che presto altri mandò per
scrivere e per pubblicare. Ne vennero fuori i Faustbucher famosi, poi il resto
che sappiamo.
Ma torniamo alla taverna.
Fu propri lì che l’aguzzo
Mefistofele condusse Faust e fu lì che da un unico tavolo videro zampillare
vini diversi. Fu da lì che, cavalcando la botte, i due sfrecciarono sulle teste
di tutti, perdendosi nel cielo della città.
Qui, ora, è la
letteratura, quella imprevedibile nelle sue mosse, che cavalca la botte, che
stupisce con i suoi voli iperbolici, che sfida ogni legge fisica. È lei che si
trascina dietro il vecchio mago, amante del rischio, che, serrate le gambe
sulle doghe e infilate le unghie sotto i cerchi, gioisce ogni volta che un
limite è infranto.
D’altra parte, quale
luogo migliore della taverna per il rituale della trasgressione? “…della
trasgressione linguistica, della meta narrazione, della canzonaccia
stravagante, della favola in versi, della ballata oscena – come scrive Stefano
Docimo in una recente lettera –. In questa oscura bettola ci siamo
ri/trovadorizzati, cogliendo lazzi più che margherite inermi. Il luogo dove la
materia linguistica sfrigola e arde, consumandosi fino allo spasimo”.
Direi, ancora: il luogo
dove suoni e voci si mescolano a luci ed ombre, a gesti, a colori, ma anche a
sapori e odori. Luogo sin estetico per eccellenza, dove qualsiasi mezzo è buono
per comunicare.
Sono stati in molti, in
passato, fuori dall’ufficialità di marca aristotelica, a non credere a confini
netti tra le arti; ma, oggi, tutti possono constatare che espressione e
comunicazione, artistica e non, sono ampiamente intertestualizzate; d’altra
parte non si può perseguire in arte e letteratura un purismo tecnico, tanto
anacronistico quanto sterile, quando le tecnologie strumentali segnano sviluppi
vorticosi e sorprendenti.
“Non vi è nulla di più
poetico che tutte le transizioni e le miscele eterogenee”, scriveva Novalis.
Alla poesia, prima transmelializzata, poi multimedializzata, si aprono
interessanti orizzonti intermediali su cui distendere, al di là di qualsiasi
accidentalità, una intertestualità cosciente, una polidimensionalità di
progetto; anche se sulla scorta di una griglia progettuale, saranno poi l’inatteso,
l’insospettato, l’imponderabile, l’inconseguente ad agire; anche se i nostri
cervelli vogliono lavorare senza che si dica loro come; anche se “L’arte del
poeta è probabilmente soltanto l’uso arbitrario, attivo, produttivo dei nostri
organi”, come Novalis ancora annotava; anche se, sull’altro versante, “l’essenza
della cosa sta in una conoscenza senza preciso conoscere”, come suggerisce
Raffaele Manica negli Altri discorsi
di questo primo numero. Egli, parlando nientemeno che di poesia e di tiro con l’arco,
riporta inoltre il seguente passo di Eugen Errigel: “Tutto questo, arco,
freccia, bersaglio e Io si intrecciano tra loro in modo che non so più come
separarli. E persino il bisogno di separarli è scomparso. Perché non appena
prendo l’arco e tiro, tutto diventa così chiaro e naturale e così ridicolmente
semplice”:
Insomma, ci interessa la
struttura materica dei linguaggi, ci interessa la materialità testuale, ma
anche la sperimentazione di tutte le possibili consistenze del testo e di ogni
intreccio inconsueto palpabile e impalpabile. E ci interessano tendenziose
riletture, non ascolti inerti, innaturalmente stereotipati:
Scrive ancora Manica: “Nessuna
istanza di principio fa del poeta uno che ne sa di più sul proprio testo,
perché quel che è dato conoscere è il testo stesso, il suo tonfo sordo e la sua
deflagrazione in corpi e secoli”.
Sul celebre passo del
Faust, Jacques Lacan, il più oscuro psicanalista freudiano, ha fatto crescere
una metafora felice: “se qui c’è una verità, essa si trova ovunque, e dovevamo
spillarla da un punto qualsiasi alla nostra portata, come il vino nella Taverna
di Auerbach”.
Può capitare che questa
verità ebbra sia un trionfo dei sensi che si conoscono tramite sinestesia e
multimedialità, come centri nervosi di una letteratura che cerca la propria
forma, senza più la certezza di averne una, ma con la certezza contraria di
poterle avere tutte.
A proposito invece del numero monografico dedicato ad Antonio Pizzuto, è ancora acquistabile?
RispondiEliminaQuel fascicolo è da tempo introvabile, ma forse la speranza di recuperare qualche copia c'è !
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